
New York, United States of America – November 21, 2016: Sticky post-it notes on wall in Union Square subway station in NYC as protest against presidential election results
Partiamo da Harvard
Come negozia un legal designer?
Immaginate di essere con un vostro cliente mentre state preparando una negoziazione su un contratto molto importante. Cosa fareste?
Io, come legal designer conosco bene la “principled negotiation” e partirei da lì, probabilmente. La principled negotiation è il modello di Harvard, chiamato anche negoziazione basata sugli interessi, si fonda su cinque pilastri:
- separare le persone dal problema
- concentrarsi sugli interessi, non sulle posizioni
- inventare opzioni per il vantaggio reciproco
- usare criteri oggettivi
- conoscere il proprio BATNA (e possibilmente anche quello altrui…)
La negoziazione secondo Harvard è una scelta naturale per i legal designers. I suoi principi e le varie rivisitazioni sono conosciuti e praticati ovunque, le competenze e le abilità che si acquisiscono praticando la principled negotiation sono utili sia per interloquire con il proprio cliente, sia per negoziare con l’altra parte. Ma…
Per quanto strano possa sembrare, l’idea di un negoziato basato sugli interessi è ancora stravagante per molti, in molte parti del mondo. Per alcuni
l’arte del negoziato è… l’arte dell’imbroglio.
Quando si progetta una strategia o quando si prepara il cliente per una negoziazione, è necessario esserne consapevoli.
Tornate per un attimo ad immaginarvi con il vostro cliente mentre tra documenti, canvas, post-it e diagrammi, vi accorgete che qualcosa non quadra. Forse sono i numeri, c’è qualcosa che non torna nei documenti, oppure gli interessi non sono in linea con i rapporti di forza. Magari non siete ancora arrivati a fare un’analisi completa, ma il vostro istinto vi dice che c’è qualcosa che non torna.
Ignorare questo semplice fatto può essere fatale.
Tuttavia il giorno dopo siete seduti al tavolo dei negoziati con l’altra parte. Non era proprio possibile rimandare, tanto più che da una parte c’è un’impresa nostrana, mentre l’altra azienda ha fatto volare metà del consiglio di amministrazione più una mezza dozzina di tecnici direttamente dall’altra parte del globo sino alla ridente località di campagna dove vi siete ritirati per condurre a termine la trattativa. (Se dobbiamo immaginare una situazione, tanto vale immaginarla piacevole!)
La buona fede è la base
Harvard o non Harvard, una delle prime cose che probabilmente chiedereste all’altra parte, o che cerchereste in qualche modo di valutare, è se l’altra parte sia disposta o meno a negoziare in buona fede. Questo perché la “buona fede” è la base per qualsiasi negoziazione fruttuosa.
Ma ecco il punto. Il concetto di buona fede è ben lungi dall’essere un concetto universale: è culturale. Ciò che è buona fede per me, potrebbe non essere buona fede per qualcun altro. È vero che esistono degli standard internazionali per i negoziati internazionali, tuttavia… La buona fede non è una di quelle cose facili da gestire.
La buona fede ha un aspetto culturale
In alcune culture, e ad alcune persone in alcune culture, negoziare in buona fede significa fondamentalmente:
“Beh, sto negoziando con te non ti sto uccidendo, per ora. Quindi, cosa vuoi di più?”
Naturalmente, questa è un’esagerazione, non è accurata, ma dà l’idea di cosa intendo.
Recentemente, ho avuto una negoziazione tra due uomini sulla loro azienda di famiglia. L’altra parte era un uomo molto cocciuto e molto poco sofisticato. Per far capire senza ombra di dubbio che era impegnato al 100% per raggiungere l’accordo ha pronunciato frasi come: “Se non firmi, ti ammazzo” o “Ti brucio la casa“, cose del genere. Quindi, stava profferendo minacce come se piovesse, solo per dimostrare che era impegnato, serio e giusto (a modo suo…): era in buona fede. Si stava comportando come ci si aspetta nel suo ambiente culturale, e il fatto che stava dicendo che ti avrebbe bruciato vivo era solo una parte della performance*.
[*Quell’uomo non avrebbe mai dato seguito alle sue minacce, non ne aveva l’intenzione. Io lo sospettavo e il mio cliente lo sapeva, quindi nessuno di noi due ha battuto ciglio e abbiamo chiuso felicemente la trattativa.]
Un altro esempio concreto
Di recente sono stata ad un incontro internazionale. C’erano delle regole da seguire per l’attività che dovevamo svolgere. Quando si è trattato di spiegare la regola denominata “Ethics”, si è parlato di buona fede e di quale fosse lo standard a cui dovevamo attenerci. Dopo una breve discussione, un esponente del comitato che aveva redatto le regole, cercando di chiarire definitivamente la questione ha detto: “You are required to behave as any lawyers would do.” Dicendo questo, era convinto di aver dato la spiegazione definitiva su quanto ci veniva richiesto.
Già, peccato che un avvocato, che opera in una giurisdizione molto distante dalla mia e che sedeva di fianco a me, ha commentato: “How are we supposed to defend our client if we cannot lie?”
La buona fede è una questione legale
In generale, in alcuni ordinamenti giuridici, quello italiano è tra questi, la buona fede è una presunzione, qualcosa che si presume che ci sia e che, nella pratica, si rischia di dare per scontato. Tutti sono considerati agire in buona fede, fino a quando non è dimostrato il contrario. L’onere della prova ricade sull’altra parte. Il risultato di tale intendimento sulla buona fede, di tale prescrizione, è che le persone provenienti da quegli ordinamenti giuridici (italiani compresi) di solito non si impegnano attivamente, non si impegnano a negoziare in buona fede, anche quando dicono di farlo. Lasciano che sia l’altra parte a dimostrare la loro malafede. Tutto ciò che non raggiunge la soglia di una dichiarazione giudiziale di comprovata malafede non è solo accettabile, ma è interpretata come buona fede. Si potrebbe dire che
spesso, rispetto alla buona fede, si ha un atteggiamento di inerzia.
Molto di frequente le trattative falliscono molto prima di raggiungere o meno un accordo. Semplicemente non è possibile continuare le trattative e nessuno vuole assumersene le responsabilità, specialmente chi ha questo atteggiamento “inerziale” rispetto alla buona fede. Negoziare in buona fede è un insieme positivo di azioni, qualcosa in cui impegnarsi e a cui dedicarsi. L’atteggiamento un po’ infingardo e un po’ pilatesco di chi non fa nulla o di chi confida nel fatto che, qualunque cosa faccia, non sarà dimostrabile in giudizio, semplicemente non funziona.
E cosa può fare il legal designer?

by Stefan Turk
Chiediamo aiuto ad Aristotele
La nonna ha tre denti, la forchetta ha tre denti, la nonna è una forchetta.
Con la buona fede succede questo. Per le ragioni culturali e giuridiche che abbiamo detto, si confondono piani logici diversi e si scambia l’osservazione per il giudizio.
Con il famoso sillogismo imperfetto della nonna, tutti vediamo che la nonna non è la forchetta, ma quando siamo al tavolo delle trattative, commettiamo l’errore di credere che la nonna sia una forchetta.
ESEMPIO: L’altra parte è presente chi è presente dimostra buona fede, quindi l’altra parte è in buona fede.
Purtroppo non funziona così.
Il fatto che l’altra parte sia presente (o abbia portato i documenti, ecc.) è un fatto osservabile. Se noi a questo fatto aggiungiamo significati ulteriori, trasformandolo in un presupposto per qualcos’altro, questo è un giudizio. Entrambi, osservazione e giudizio, sono ok. Ciò che non è ok è confonderli, ovvero pensare che stai osservando, quando stai giudicando.
Negoziare in buona fede è un insieme positivo di azioni, qualcosa in cui impegnarsi e a cui dedicarsi.
Come tale la buona fede è osservabile. Dal punto di vista legale, è una presunzione (per noi italiani), sicuro, ma ciò che ne deriva è un fatto osservabile. E’ anche connotata da caratteristiche culturali, certamente, ma – di nuovo – per riconoscere correttamente gli aspetti culturali, occorre osservare senza giudicare.
La capacità di osservare invece di giudicare è una caratteristica di base di un legal designer. E questo vale anche quando ci si sta preparando o ci si immerge in una negoziazione. La buona fede fa parte del
setting del legal designer.
La buona fede è un presupposto per intavolare una trattativa, ma anche per portarla avanti ed il legal designer deve verificare la buona fede in ogni momento, tramite l’osservazione distinta dal giudizio.
E’ un po’ come la sterilità per camera operatoria: deve essere sterile prima dell’operazione e continuare ad esserlo fino alla fine, altrimenti sono guai.
Oltre a post-it, pennarelli, scotch, e strumenti virtuali, informatici e di altra natura, che fanno parte del setting, il legal designer ha anche una parte di setting “intangibile”, tra cui la conoscenza del diritto, e più nel dettaglio, la buona fede.
Continua…